Le malattie cardiovascolari, tra tutte le patologie non trasmissibili, sono la principale causa di morte, ospedalizzazione e disabilità1A. Per trattarle, oltre a limitare i fattori di rischio cardiovascolare – come fumo, obesità e sedentarietà – è importante seguire specifiche terapie farmacologiche1B.
Una terapia, però, non può avere alcuna efficacia se non viene seguita rigorosamente1C. In questo caso si parla di mancata aderenza alla terapia, e questa, spesso sottovalutata, espone al rischio dell’insorgenza di una serie di complicanze per la salute, come eventi cardiovascolari gravi, o addirittura la morte1D.
Aumentare l’aderenza alle terapie potrebbe migliorare la salute della popolazione molto più di qualsiasi altro intervento medico specifico1E.
Nel 2022, in Italia, a livello generale, poco più della metà dei nuovi utilizzatori di farmaci per l’ipertensione e lo scompenso cardiaco, nella popolazione ≥ 45 anni, è risultata essere aderente al trattamento (52,4%), con valori più elevati nelle Regioni del Centro (53,9%) e al Nord (53,5%) rispetto al Sud (49,9%).2L
All’interno di questo quadro, i maschi presentano percentuali di aderenza più elevate (57,3%) rispetto alle femmine (47,9%).2L
Nel caso dei farmaci per la pressione alta, ad esempio, il 18,2% dei pazienti mostra poca aderenza alla terapia2A, e lo stesso vale per il 15,3% di chi segue un trattamento contro il colesterolo alto2B.
Alcuni pazienti, inoltre, sono a maggior rischio di scarsa aderenza rispetto ad altri:
Un altro aspetto da considerare, in ambito di aderenza, è la persistenza al trattamento, cioè la durata effettiva della terapia dal suo inizio a quando viene interrotta. Anche i livelli di persistenza terapeutica non sono soddisfacenti: in Italia, il 52 % dei pazienti interrompe le cure antipertensive2G e il 48,7 % sospende l’assunzione di farmaci ipolipemizzanti2H a distanza di un anno dall’inizio della terapia.
Anche in questo caso, le categorie a maggior rischio di bassa persistenza sono le donne2I, 2L e gli ultra-ottantacinquenni2M. Nel caso dei farmaci ipolipemizzanti, l’interruzione della terapia è causata dal fatto che tale intervento non è accompagnato da sintomi immediatamente evidenti2O.
I fattori che più probabilmente causano la scarsa aderenza e la scarsa persistenza sono2P:
Spesso, inoltre, i medici non riescono a seguire i pazienti quanto potrebbero, per guidarli e sostenerli nel loro percorso terapeutico2U.
Come fare, allora, per seguire nel modo corretto le indicazioni del cardiologo e le terapie prescritte?
Può aiutare, per esempio, sfruttare al meglio i momenti di incontro col proprio medico, per discutere della terapia. Le visite mediche, se troppo brevi e sbrigative, spesso non riescono a infondere nei pazienti la necessaria fiducia nell’efficacia del trattamento, con il risultato di una scarsa motivazione a seguire, in maniera accurata, le indicazioni sulla sua gestione1F.
Per i pazienti potrebbe essere una buona idea, quindi, avere colloqui motivazionali con i loro cardiologi1G con una frequenza maggiore, e rafforzare le conoscenze riguardo la malattia e la terapia, focalizzati sull’importanza di aderire pienamente alla terapia prescritta e sui rischi in cui si può incorrere in caso di assunzione non regolare1H.
La consapevolezza della necessità ed efficacia della terapia è molto importante1I, poiché porta i pazienti a non essere meri esecutori delle indicazioni del medico, ma attori principali nella gestione della terapia e nel determinarne, con maggior cognizione di causa, gli effetti diretti sulla propria salute1L.
Altri accorgimenti possono riguardare l’utilizzo di strumenti per la gestione del piano di assunzione del farmaco, che possono andare dai promemoria impostati sul cellulare alla compilazione di appositi diari1M.
Talvolta, invece, potrebbe essere utile un ulteriore passo, ovvero cercare di semplificare, in accordo con il medico, il regime terapeutico per diminuire quanto possibile il numero di pillole da assumere e la frequenza di somministrazione1N.
Un modo per farlo viene dalla strategia della “polipillola”, che combina in sé diverse classi di farmaci in modo da permettere di assumerle in un’unica soluzione e adattare più facilmente la terapia alle abitudini quotidiane1O.
Alla prova dei fatti, quest’ultima strategia si è rivelata molto efficace nel prevenire la perdita di aderenza alla terapia, riuscendo ad aumentare l’aderenza dei pazienti dal 60 % all’85 %1P, come emerso in uno studio specifico sui trattamenti per le malattie cardiovascolari.
Bibliografia
1. Aderenza al trattamento farmacologico nella terapia cronica delle malattie cardiovascolari – SIPREC
2. Rapporto-OsMed-2022.pdf (aifa.gov.it)